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La vera vita di Sebastian Knight di Vladimir Nabokov

Leggo questo romanzo una decina di anni dopo aver affrontato il più conosciuto Lolita e riconosco immutata la scrittura nebulosa e perversa di Nabokov: V., con lo scopo di scriverne ''la vera vita'', si mette alla ricerca delle prove che certifichino il passaggio sulla terra del defunto fratellastro Sebastian, scrittore. L'impresa si rivelerà più ardua del previsto nella corsa smaniosa e inconcludente all'indizio rivelatorio che definisca una volta per sempre chi é stato Sebastian Knight e perché é così importante scoprirlo.




Curiosità: il brano Uno dell'omonimo album dei Marlene Kuntz ripropone un bellissimo passaggio -riguardante la conclusione di una storia d'amore - che ritroverete nel dodicesimo capitolo di questo libro e che vi ripropongo di seguito.


«Questo ti farà soffrire, mio povero amore. Il nostro picnic è finito; la strada è buia, piena di buche, e sull’auto il bambino più piccolo comincia a sentirsi male. Un povero sciocco ti direbbe: devi essere coraggiosa. Ma qualunque cosa io possa dirti per farti animo o consolarti sarà come una minestrina insipida — tu sai quello che voglio dire. Tu l’hai sempre capito. La vita con te è stata incantevole — e quando dico “incantevole” intendo canti e voli e viole, e quella morbida, rosea “v” nel mezzo, e quelle sillabe sulle quali si curvava indugiando la tua lingua. La nostra vita insieme è stata allitterativa, e quando penso a tutte le piccole cose destinate a morire, ora che non le possiamo più condividere, sento come se fossimo morti anche noi. E forse lo siamo. Vedi, quanto più grande era la nostra felicità, tanto più sfumavano i suoi bordi, come se i contorni si sciogliessero, e ormai essa si è dissolta del tutto. Non ho smesso di amarti; ma qualcosa è morto in me, e nella nebbia non riesco a vederti... Questa è tutta poesia. Io ti sto mentendo. Vigliacco. Niente è più vile di un poeta che mena il can per l’aia. Credo tu abbia intuito come stanno le cose: la solita dannata formuletta, “un’altra donna”. Con lei sono disperatamente infelice — ecco, questo almeno è vero. E penso non ci sia molto altro da aggiungere su questo lato della vicenda».


 

«Non posso fare a meno di pensare che nell’amore ci sia qualcosa di essenzialmente sbagliato. Tra amici si litiga o ci si perde di vista, e anche tra parenti stretti, ma non c’è questo spasimo, questo pathos, questa fatalità che sta attaccata all’amore. L’amicizia non ha mai l’aspetto di una condanna. Perché, cosa succede? Non ho smesso di amarti, ma poiché non posso continuare a baciare il tuo caro, pallido volto, dobbiamo lasciarci, dobbiamo lasciarci. E perché? Perché l’amore è così misteriosamente esclusivo? Si possono avere mille amici, ma si deve amare una sola persona. Non è il caso di parlare degli harem: io sto parlando della danza, non della ginnastica. O si può forse immaginare un portentoso turco che ami ognuna delle sue quattrocento mogli come io amo te? Quando dico “due”, ho già cominciato a contare e non vi è più limite. Esiste solo un numero vero: Uno. E l’amore, a quanto pare, è l’esponente migliore di questa unicità».


 

«Addio, mio povero amore. Non ti dimenticherò mai e non metterò mai un’altra al tuo posto. Sarebbe assurdo da parte mia cercare di, persuaderti che tu eri l’amore puro e che quest’altra passione è solo una commedia della carne. Tutto è carne e tutto è purezza. Ma una cosa è certa: con te sono stato felice, e ora sono infelice con un’altra. E così la vita andrà avanti. Continuerò a scherzare con i colleghi d’ufficio, a godermi le mie cene (fin quando non mi verrà la dispepsia), a leggere romanzi e a scrivere versi, a tener d’occhio il listino della Borsa — e in generale a comportarmi come mi sono sempre comportato. Ma questo non significa che sarò felice senza di te... Ogni piccola cosa che mi riporterà il ricordo di te — l’occhiata di disapprovazione per i mobili delle stanze dove tu hai riordinato i cuscini e parlato con l’attizzatoio, ogni piccola cosa che abbiamo scoperto insieme — mi parrà sempre la metà di una conchiglia, la metà di una moneta, di cui tu custodisci l’altra metà. Addio. Vattene, vattene. Non scrivere. Sposa Charlie o un altro qualsiasi brav’uomo con una pipa tra i denti. Dimenticami per ora, ma ricordami dopo, quando l’amaro sarà dimenticato. Questa macchia non è dovuta a una lacrima. Mi si è rotta la stilografica, e sto usando una lurida penna in questa lurida camera d’albergo. Fa un caldo terribile, e non sono riuscito a concludere l’affare che avrei dovuto portare “a una soluzione soddisfacente”, come dice quell’imbecille di Mortimer. Credo tu abbia un paio di libri miei ma non è importante. Per favore, non scrivere. L.»




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