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Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani

L'amore (così almeno se lo figurava lei) era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da praticarsi senza esclusioni di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d'animo ed onestà di propositi.


Il giardino dei Finzi-Contini è uno splendido romanzo neorealista di Giorgio Bassani, edito nel 1962 da Einaudi. Le vicende dell’narratore e dell’aristocratica famiglia ebraica dei Finzi-Contini si snodano nella Ferrara degli anni Quaranta durante la promulgazione delle leggi razziali e l’avanzata in Europa del nazifascismo.

In questo romanzo di formazione Bassani narra le tenerezze, le passioni e le delusioni, così come le scorribande e gli idealismi di un ignoto io-narrante che si invaghisce perdutamente della bionda Micol Finzi-Contini in una Ferrara che trasuda dolci e malinconiche atmosfere. Alle emozioni private dei quattro amici fa da sfondo il dramma della Storia che annienterà i protagonisti e che porterà l’Italia al punto più basso del suo Novecento.

Un espediente narrativo qui adottato e particolarmente riuscito è il discorso diretto libero, attraverso il quale la voce della memoria e degli assenti, ci viene restituita mirabilmente e senza lesinare in pathos. Il Giardino dei Finzi-Contini vinse il premio Viareggio nel 1962, mentre la trasposizione cinematografica ad opera di Vittorio de Sica si aggiudicò l’Oscar come Miglior film straniero nel 1972.


“Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno? Più di trenta. Tuttavia, se chiudo gli occhi, Micol Finzi-Contini è ancora là, affacciata al muro di cinta del suo giardino, che mi guarda e mi parla. Era poco più che una bambina, nel 1929, una tredicenne magra e bionda con grandi occhi chiari, magnetici. Io, un ragazzetto in calzoni corti, molto borghese e molto vanitoso, che un piccolo guaio scolastico bastava a gettare nella disperazione più infantile. Ci fissavamo entrambi. Al di sopra di lei, il cielo era azzurro e compatto, un caldo cielo già estivo, senza la minima nube. Niente avrebbe potuto mutarlo, e niente l'ha mutato, infatti, almeno nella memoria.”

 

"Che cosa c'è stato, fra loro due? Niente? Chissà. Certo è che, quasi presaga della prossima morte, sua e di tutti i suoi, Micòl ripeteva di continuo anche a Malnate che a lei, del suo futuro democratico e sociale, non gliene importava nulla, che il suo futuro, in sé, lei lo abborriva, ad esso preferendo di gran lunga "le vierge, le vivace et le bel aujourd'hui", e il passato, ancora di più, il caro, il dolce, il pio passato. E siccome queste, lo so, non erano che parole, le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire: di esse, appunto, e non di altre, sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare."





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