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Lettera a mia madre di Georges Simenon

Un’amara lettera di addio scritta dall'uomo Simenon, ormai settantenne, al capezzale della madre morente. Pietismi? Qualcuno. Rimpianti? Parecchi, e altrettanti rimproveri. É la confessione di un figlio assente alla propria madre, una madre diffidente, orgogliosa e inasprita dai lutti e dalla miseria. Con questo breve memoir ritorna, dopo anni di assenza, il padre del noto ispettore Maigret.



“Ed ecco che ora, dopo tanti anni, vecchi tutti e due, ci ritroviamo faccia a faccia in quest’ospedale, con questi personaggi di cera intorno a noi. Esistono tre miliardi di uomini sulla terra. Non so la cifra esatta. Sono allergico alle statistiche, alle cifre in generale. Quanti uomini sono vissuti, dalla preistoria sino ad oggi? Nessuno lo sa. Si può tuttavia supporre che, come oggi, si siano sempre combattuti tra loro, si siano uccisi, abbiano dovuto lottare contro i loro vicini, contro i grandi cataclismi naturali, contro le epidemie. E tuttavia non hanno mai smesso di porsi una domanda: “Che cos’è l’uomo? Chi è il mio vicino? Oggi l’etnografia cerca le tracce degli uomini di un tempo, i nostri antenati: la biologia, nei laboratori di tutto il mondo, si sforza di conoscere l’uomo attuale. Però non conosciamo le persone della porta accanto, quelle che incrociamo tutti i giorni per la strada, al cui fianco lavoriamo. Madre, siamo noi due qui a guardarci. Tu mi hai messo al mondo, io sono uscito dal tuo ventre, m’hai dato il primo latte, tuttavia non ti conosco, come tu non conosci me. In questa stanza d’ospedale, siamo due stranieri che non parlano la stessa lingua e che diffidano l’uno dell’altro. É per cancellare l’idea falsa che ho potuto farmi di te, per penetrare nella verità del tuo essere, per amarti che riunisco briciole di ricordi, che rifletto.”


Scriveva bene Pier Paolo Pasolini (e cantava altrettanto bene Diamanda Galas):


E' difficile dire con parole di figlio

ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,

ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:

è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata

alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame

d'amore, dell'amore di corpi senza anima.

Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu

sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l'infanzia schiavo di questo senso

alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l'unico modo per sentire la vita,

l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione

di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.

Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…


Pier Paolo Pasolini, Supplica a mia madre in Poesia in forma di rosa (1961-1964), Garzanti, Milano 1964.



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